«The confusion of languages is a fundamental component of living here; one is surrounded by a perpetual Babel, in which everyone shouts orders and threats in languages never heard before, and woe betide whoever fails to grasp the meaning» These words were written in Se questo è un uomo, a book by Primo Levi, and they are an attempt to describe a consistent feeling of prisoners in the Nazi lager of Auschwitz. Italian survivors had to struggle to orient themselves in the multilingualism of the Nazi lager system and we find traces of this in their testimonies, both written and oral. They speak about themes such as the impossibility to express themselves inside the lager, the lack of opportunities to be understood and to comprehend others. Studying the language of lager means to go through the words of hatred, humiliation and Nazi violence, but also to analyze the human value of communication between the deportees, through a language created on solidarity, hope and resistance. By investigating the language in the Nazi lager, we can grasp the vision of survivors who passed through all this.

«La confusione delle lingue è una componente fondamentale del modo di vivere di quaggiù; si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite e guai a chi non afferra al volo» scrive Primo Levi in Se questo è un uomo, cercando di trovare le parole giuste per descrivere una sensazione provata costantemente dai deportati nel lager nazista di Auschwitz. I temi dell’incomunicabilità all’interno del lager, della privazione della parola e della possibilità di comprendere sono presenti in tutte le testimonianze scritte e orali dei superstiti italiani delle deportazioni, che cercarono di orientarsi nel plurilinguismo della realtà concentrazionaria. Studiare la lingua del lager significa attraversare le parole dell’odio, dell’umiliazione e della violenza nazista, ma anche approfondire il valore umano della comunicazione fra compagni di deportazione, attraverso una lingua fatta di solidarietà, speranza e resistenza. Lo studio del linguaggio in un contesto particolare come quello del lager diventa, dunque, un mezzo per indagare il sistema concentrazionario dal suo interno e provare a riscoprire la voce di chi lo visse.

Nella Babele del lager: lingue, parole e comunicazione nei campi nazisti

ZANCHI L
2020-01-01

Abstract

«The confusion of languages is a fundamental component of living here; one is surrounded by a perpetual Babel, in which everyone shouts orders and threats in languages never heard before, and woe betide whoever fails to grasp the meaning» These words were written in Se questo è un uomo, a book by Primo Levi, and they are an attempt to describe a consistent feeling of prisoners in the Nazi lager of Auschwitz. Italian survivors had to struggle to orient themselves in the multilingualism of the Nazi lager system and we find traces of this in their testimonies, both written and oral. They speak about themes such as the impossibility to express themselves inside the lager, the lack of opportunities to be understood and to comprehend others. Studying the language of lager means to go through the words of hatred, humiliation and Nazi violence, but also to analyze the human value of communication between the deportees, through a language created on solidarity, hope and resistance. By investigating the language in the Nazi lager, we can grasp the vision of survivors who passed through all this.
2020
«La confusione delle lingue è una componente fondamentale del modo di vivere di quaggiù; si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite e guai a chi non afferra al volo» scrive Primo Levi in Se questo è un uomo, cercando di trovare le parole giuste per descrivere una sensazione provata costantemente dai deportati nel lager nazista di Auschwitz. I temi dell’incomunicabilità all’interno del lager, della privazione della parola e della possibilità di comprendere sono presenti in tutte le testimonianze scritte e orali dei superstiti italiani delle deportazioni, che cercarono di orientarsi nel plurilinguismo della realtà concentrazionaria. Studiare la lingua del lager significa attraversare le parole dell’odio, dell’umiliazione e della violenza nazista, ma anche approfondire il valore umano della comunicazione fra compagni di deportazione, attraverso una lingua fatta di solidarietà, speranza e resistenza. Lo studio del linguaggio in un contesto particolare come quello del lager diventa, dunque, un mezzo per indagare il sistema concentrazionario dal suo interno e provare a riscoprire la voce di chi lo visse.
deportazioni
memoria
lager nazisti
Primo Levi
Auschwitz
Seconda Guerra Mondiale
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