Nelle « piazze del 2011 », da piazza Tahrir a Puerta del Sol, da piazza Syntagma a Zuccotti Park, lo spazio è stato utilizzato come « arma », come strumento di azione e di comunicazione per le rivendicazioni o le proposte sociali. La territorializzazione delle piazze è avvenuta in diverse parti del mondo in modalità comparabili, che si sono via via evolute traendo spunto dalle precedenti esperienze realizzate altrove. Anche grazie alla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, non centralizzate né gerarchizzate, i flussi informativi e la crisi globale hanno comportato la condivisione di principi simili anche tra attivisti di culture e paesi anche molto lontani tra loro. Queste stesse tecnologie hanno mostrato un enorme potenziale nella diffusione di « memi » e nella capacità di mobilitare concretamente le persone nel mondo reale, non rivelandosi, quest’ultimo, separato da quello « virtuale » ma, piuttosto, « aumentato », trasformato in un cyberspazio che comprende ambedue le dimensioni. Dalle diverse esperienze sembrano emergere delle volontà di condivisione e rifiuto del leaderismo, assieme alla propensione verso una società maggiormente equilibrata, nella quale il potere della finanza o delle lobby economiche non snaturi l’idea stessa di democrazia. L’aspirazione a realizzare anche in Nord America, per migliorare la propria democrazia, le stesse pratiche spaziali della primavera araba nordafricana è apparsa come un (temporaneo) ribaltamento della direttrice culturale Nord-Sud normalmente prevalente, mostrando come possa esserci spazio, in futuro, per dei movimenti sociali di estensione realmente globale. L’uso dello spazio come strumento di comunicazione ma anche di esempio di vita possibile, nel quale si è tentato di realizzare « ad hoc » luoghi di relazione paritari, auto-organizzati e funzionali, ha contribuito ad attivare un dibattito sugli spazi pubblici e sulle relazioni tra persone. Tutti questi fenomeni, molto recenti, interrogano la geografia e chi la pratica rispetto alla necessità di un approccio più attivo e propositivo, e sembrano sfidarla – particolarmente quella che si definisce sociale – a partecipare più direttamente, con le sue competenze, all’elaborazione e soprattutto alla realizzazione di alternative all’organizzazione attuale degli spazi, delle relazioni di potere e del sistema economico. Sembra emergere una forte richiesta di una geografia non (solo) al servizio del principe, ma delle persone; quelle persone che hanno mostrato, dagli Indignados a Occupy, di voler provare a realizzare una « loro » geografia agendo al tempo stesso come individui e come « sciami ».
lo spazio è (o può divenire) un' « arma » sociale? riflessioni sul movimento
TABUSI M
2013-01-01
Abstract
Nelle « piazze del 2011 », da piazza Tahrir a Puerta del Sol, da piazza Syntagma a Zuccotti Park, lo spazio è stato utilizzato come « arma », come strumento di azione e di comunicazione per le rivendicazioni o le proposte sociali. La territorializzazione delle piazze è avvenuta in diverse parti del mondo in modalità comparabili, che si sono via via evolute traendo spunto dalle precedenti esperienze realizzate altrove. Anche grazie alla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, non centralizzate né gerarchizzate, i flussi informativi e la crisi globale hanno comportato la condivisione di principi simili anche tra attivisti di culture e paesi anche molto lontani tra loro. Queste stesse tecnologie hanno mostrato un enorme potenziale nella diffusione di « memi » e nella capacità di mobilitare concretamente le persone nel mondo reale, non rivelandosi, quest’ultimo, separato da quello « virtuale » ma, piuttosto, « aumentato », trasformato in un cyberspazio che comprende ambedue le dimensioni. Dalle diverse esperienze sembrano emergere delle volontà di condivisione e rifiuto del leaderismo, assieme alla propensione verso una società maggiormente equilibrata, nella quale il potere della finanza o delle lobby economiche non snaturi l’idea stessa di democrazia. L’aspirazione a realizzare anche in Nord America, per migliorare la propria democrazia, le stesse pratiche spaziali della primavera araba nordafricana è apparsa come un (temporaneo) ribaltamento della direttrice culturale Nord-Sud normalmente prevalente, mostrando come possa esserci spazio, in futuro, per dei movimenti sociali di estensione realmente globale. L’uso dello spazio come strumento di comunicazione ma anche di esempio di vita possibile, nel quale si è tentato di realizzare « ad hoc » luoghi di relazione paritari, auto-organizzati e funzionali, ha contribuito ad attivare un dibattito sugli spazi pubblici e sulle relazioni tra persone. Tutti questi fenomeni, molto recenti, interrogano la geografia e chi la pratica rispetto alla necessità di un approccio più attivo e propositivo, e sembrano sfidarla – particolarmente quella che si definisce sociale – a partecipare più direttamente, con le sue competenze, all’elaborazione e soprattutto alla realizzazione di alternative all’organizzazione attuale degli spazi, delle relazioni di potere e del sistema economico. Sembra emergere una forte richiesta di una geografia non (solo) al servizio del principe, ma delle persone; quelle persone che hanno mostrato, dagli Indignados a Occupy, di voler provare a realizzare una « loro » geografia agendo al tempo stesso come individui e come « sciami ».File | Dimensione | Formato | |
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