Nelle piazze del 2011, da Tahrir a Puerta del Sol, da Syntagma a Zuccotti Park, lo spazio è stato utilizzato come strumento di azione e di comunicazione per proteste, rivendicazioni o proposte sociali. La territorializzazione delle piazze è avvenuta in diverse parti del mondo in modalità comparabili, che si sono via via evolute traendo spunto dalle precedenti esperienze realizzate altrove. Dalle diverse esperienze sembrano emergere delle volontà di condivisione e rifiuto del leaderismo, assieme alla propensione verso una società maggiormente equilibrata, nella quale il potere della finanza o delle lobby economiche non snaturi l’idea stessa di democrazia. L’aspirazione a migliorare la propria democrazia, adottando anche in Nord America le pratiche spaziali della primavera araba, è apparsa –!per di più quasi esattamente un decennio dopo i fatti dell’11 settembre 2001!– come un sorprendente (quanto temporaneo) ribaltamento della consueta direttrice culturale Nord- Sud, mostrando come possa esserci spazio, in futuro, per movimenti sociali di estensione realmente globale. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, meno centralizzate e gerarchizzate di quelle tradizionali, hanno infatti consentito una inversione del paradigma informativo: le persone non si trovavano a discutere di questi eventi a causa del fatto che erano stati raccontati dai media tradizionali; piuttosto i media tradizionali erano stati portati ad occuparsene –!non di rado in modo tardivo – perché moltissime persone già ne discutevano, avendo ricevuto immagini, slogan, motivazioni ed analisi attraverso canali diversi21. Questo ha favorito la condivisione di principi simili tra attivisti di culture e paesi anche molto lontani tra loro. Pur non condividendo appieno le potenzialità quasi salvifiche che studiosi anche molto autorevoli hanno voluto assegnare alla Rete22, è innegabile che questa abbia mostrato un enorme potenziale nella diffusione di “memi” e nella capacità di mobilitare concretamente le persone nel mondo reale, non rivelandosi, quest’ultimo, separato da quello virtuale ma, piuttosto, aumentato, trasformato in un cyberspazio che comprende stabilmente ambedue le dimensioni. Il fenomeno delle piazze del 2011, che trova il suo culmine con Occupy –!esperienza divenuta globale anche grazie alla centralità culturale statunitense e alla capillarità della circolazione delle informazioni in lingua inglese!–, appare particolarmente significativo e ricco di elementi di riflessione sia per il ruolo giocato dallo spazio che per quello delle identità. Per molti aspetti si ha l’impressione che queste due dimensioni si fondano, e che l’identità dei movimenti delle piazze coincida con quegli spazi o, meglio, con l’esito della loro territorializzazione. Un articolo apparso su un quotidiano ad elevata diffusione, dedicato al potere dei luoghi nella protesta, ha offerto al pubblico un’interpretazione assai simile del rapporto tra spazi e identità: secondo l’autore il potere anche simbolico della protesta di piazza è sottostimato, così come la potenzialità del movimento di “creare” luoghi che, pur esistendo già in precedenza, escono da un grigio anonimato grazie al contributo di senso che vi viene riversato, finalmente “emergendo” dalla mappa. L’autore, proprio all’inizio del suo scritto, coglie l’importanza della posizione relativa di Zuccotti park, localizzato in posizione quasi equidistante tra Ground Zero – uno dei luoghi più potenti come simbolo della prospettiva di rinnovamento degli USA – e la borsa di New York24. Il senso di Zuccotti Park, sostiene Kimmelman, non è questa o quella proposta politica ma l’azione stessa, che crea, mediante l’esempio e la partecipazione, una piccola polis, una città in costruzione. La vera proposta politica è il modo di vita sperimentato e la modalità di gestione, comunitaria e senza leader, realizzata, sotto gli occhi della città e del mondo, nello spazio occupato; è nelle funzioni offerte dalla piazza/città/polis a chiunque avesse voluto usufruirne. La tesi, che non si pretende affatto con questo lavoro di aver definitivamente dimostrato, è dunque che la componente prevalente dell’identità dei movimenti delle piazze del 2011 sia da ricercarsi nelle pratiche messe in campo, nelle esperienze accumulate, nei memi che quelle piazze, direttamente o indirettamente, hanno contribuito a caricare di significato e a diffondere, con il supporto della Rete, dei Social Media e delle nuove tecnologie, ma anche e soprattutto attraverso la creatività e la contaminazione tra le esperienze degli attivisti (o anche dei semplici curiosi) sul campo, agendo così contemporaneamente (almeno) a due diverse scale: quella locale e quella globale. Quei luoghi di attivismo hanno avuto il merito di riportare in discussione, di fronte all’opinione pubblica non necessariamente specializzata, temi fondamentali quali le difficoltà di funzionamento della democrazia rappresentativa e le possibili prospettive della democrazia diretta, gli aspetti etici del funzionamento dei sistemi economici, la crisi del capitalismo, il rapporto tra individui e comunità, l’impegno civile, il ruolo degli spazi pubblici e molti altri. Se la tesi è corretta, gli effetti delle azioni del 2011 non saranno necessariamente di breve termine ma deriveranno, piuttosto, dalle capacità di resilienza, diffusione ed evoluzione dei memi, che non tarderanno ad essere arricchiti da ulteriori esperienze di territorializzazione e da nuovi elementi identitari collettivi su scala internazionale.
IDENTITÀ (MULTIPLE E COLLETTIVE) NEGLI SPAZI DI OCCUPY
TABUSI M
2013-01-01
Abstract
Nelle piazze del 2011, da Tahrir a Puerta del Sol, da Syntagma a Zuccotti Park, lo spazio è stato utilizzato come strumento di azione e di comunicazione per proteste, rivendicazioni o proposte sociali. La territorializzazione delle piazze è avvenuta in diverse parti del mondo in modalità comparabili, che si sono via via evolute traendo spunto dalle precedenti esperienze realizzate altrove. Dalle diverse esperienze sembrano emergere delle volontà di condivisione e rifiuto del leaderismo, assieme alla propensione verso una società maggiormente equilibrata, nella quale il potere della finanza o delle lobby economiche non snaturi l’idea stessa di democrazia. L’aspirazione a migliorare la propria democrazia, adottando anche in Nord America le pratiche spaziali della primavera araba, è apparsa –!per di più quasi esattamente un decennio dopo i fatti dell’11 settembre 2001!– come un sorprendente (quanto temporaneo) ribaltamento della consueta direttrice culturale Nord- Sud, mostrando come possa esserci spazio, in futuro, per movimenti sociali di estensione realmente globale. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, meno centralizzate e gerarchizzate di quelle tradizionali, hanno infatti consentito una inversione del paradigma informativo: le persone non si trovavano a discutere di questi eventi a causa del fatto che erano stati raccontati dai media tradizionali; piuttosto i media tradizionali erano stati portati ad occuparsene –!non di rado in modo tardivo – perché moltissime persone già ne discutevano, avendo ricevuto immagini, slogan, motivazioni ed analisi attraverso canali diversi21. Questo ha favorito la condivisione di principi simili tra attivisti di culture e paesi anche molto lontani tra loro. Pur non condividendo appieno le potenzialità quasi salvifiche che studiosi anche molto autorevoli hanno voluto assegnare alla Rete22, è innegabile che questa abbia mostrato un enorme potenziale nella diffusione di “memi” e nella capacità di mobilitare concretamente le persone nel mondo reale, non rivelandosi, quest’ultimo, separato da quello virtuale ma, piuttosto, aumentato, trasformato in un cyberspazio che comprende stabilmente ambedue le dimensioni. Il fenomeno delle piazze del 2011, che trova il suo culmine con Occupy –!esperienza divenuta globale anche grazie alla centralità culturale statunitense e alla capillarità della circolazione delle informazioni in lingua inglese!–, appare particolarmente significativo e ricco di elementi di riflessione sia per il ruolo giocato dallo spazio che per quello delle identità. Per molti aspetti si ha l’impressione che queste due dimensioni si fondano, e che l’identità dei movimenti delle piazze coincida con quegli spazi o, meglio, con l’esito della loro territorializzazione. Un articolo apparso su un quotidiano ad elevata diffusione, dedicato al potere dei luoghi nella protesta, ha offerto al pubblico un’interpretazione assai simile del rapporto tra spazi e identità: secondo l’autore il potere anche simbolico della protesta di piazza è sottostimato, così come la potenzialità del movimento di “creare” luoghi che, pur esistendo già in precedenza, escono da un grigio anonimato grazie al contributo di senso che vi viene riversato, finalmente “emergendo” dalla mappa. L’autore, proprio all’inizio del suo scritto, coglie l’importanza della posizione relativa di Zuccotti park, localizzato in posizione quasi equidistante tra Ground Zero – uno dei luoghi più potenti come simbolo della prospettiva di rinnovamento degli USA – e la borsa di New York24. Il senso di Zuccotti Park, sostiene Kimmelman, non è questa o quella proposta politica ma l’azione stessa, che crea, mediante l’esempio e la partecipazione, una piccola polis, una città in costruzione. La vera proposta politica è il modo di vita sperimentato e la modalità di gestione, comunitaria e senza leader, realizzata, sotto gli occhi della città e del mondo, nello spazio occupato; è nelle funzioni offerte dalla piazza/città/polis a chiunque avesse voluto usufruirne. La tesi, che non si pretende affatto con questo lavoro di aver definitivamente dimostrato, è dunque che la componente prevalente dell’identità dei movimenti delle piazze del 2011 sia da ricercarsi nelle pratiche messe in campo, nelle esperienze accumulate, nei memi che quelle piazze, direttamente o indirettamente, hanno contribuito a caricare di significato e a diffondere, con il supporto della Rete, dei Social Media e delle nuove tecnologie, ma anche e soprattutto attraverso la creatività e la contaminazione tra le esperienze degli attivisti (o anche dei semplici curiosi) sul campo, agendo così contemporaneamente (almeno) a due diverse scale: quella locale e quella globale. Quei luoghi di attivismo hanno avuto il merito di riportare in discussione, di fronte all’opinione pubblica non necessariamente specializzata, temi fondamentali quali le difficoltà di funzionamento della democrazia rappresentativa e le possibili prospettive della democrazia diretta, gli aspetti etici del funzionamento dei sistemi economici, la crisi del capitalismo, il rapporto tra individui e comunità, l’impegno civile, il ruolo degli spazi pubblici e molti altri. Se la tesi è corretta, gli effetti delle azioni del 2011 non saranno necessariamente di breve termine ma deriveranno, piuttosto, dalle capacità di resilienza, diffusione ed evoluzione dei memi, che non tarderanno ad essere arricchiti da ulteriori esperienze di territorializzazione e da nuovi elementi identitari collettivi su scala internazionale.File | Dimensione | Formato | |
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