L’occasione del lancio della petizione “A scuola senza geografia?” (che ha avuto oltre 30.000 adesioni in meno di un mese) ha permesso – attraverso l’analisi dei dati raccolti e dei contenuti espressi nel dibattito pubblico, generatosi per l’occasione sulla stampa e attraverso altri media- di delineare una prima “mappatura” della percezione e della considerazione della disciplina geografica attraverso l’occhio dei media e la voce degli stessi sostenitori dell’appello. La geografia viene spesso vista come un compendio descrittivo di fatti piuttosto che come disciplina che si occupa dell’analisi, dell’interpretazione e della spiegazione delle differenze, territoriali e sociali, nella società globale. La percezione del sapere geografico sembra in qualche modo scontare, infatti, ancora una serie di convenzioni e stereotipi argomentativi che trovano terreno fertile nei media quando devono parlare di tematiche che riguardano, direttamente o indirettamente, la geografia. La prima, e più potente di queste convenzioni argomentative, guarda alla geografia come disciplina mnemonica, elementare, strumento essenziale per ricordare toponimi, confini, ammontare della popolazione. Una disciplina insomma che appare, nella comunicazione, scarsamente scientifica. Questa idea la si rintraccia, in forme e modalità chiaramente differenti, sia nell’analisi degli articoli presenti nei quotidiani sia nei commenti dei singoli sottoscrittori. Si tratta di un complesso di elementi che, per tradizione, per la richiesta che deriva da chi apprezza e sostiene la geografia e anche per oggettiva utilità, non può essere rimosso dal percorso d’insegnamento, né considerato secondario. Occorre, piuttosto, utilizzare gli strumenti oggi disponibili, in grado di velocizzare l’apprendimento e di coniugare la memorizzazione delle nozioni con la comprensione degli eventi e dei processi. È forse possibile, per questa via, ottimizzare i tempi dell’insegnamento di questi aspetti della geografia per avere la possibilità di sviluppare nella scuola anche elementi di maggiore complessità, contribuendo a diffondere una diversa percezione della disciplina. La separazione tra una visione di geografia popolare e una più rigorosa impostazione disciplinare e accademica trova una ulteriore manifestazione nella diffusione di contenuti geografici all’interno della pubblicistica divulgativa, oltre che nei programmi televisivi. Qui, pur facendo riferimento a tematiche tradizionalmente geografiche (paesaggio, ambiente, territorio ecc.), raramente si riscontra la presenza di letture riguardanti i processi e i concetti, quanto piuttosto una esposizione fattuale e piana che si affianca, nella migliore delle ipotesi, alla considerazione della geografia come prerequisito per la comprensione di fenomeni più ampi, base apparentemente imprescindibile per moltissimi altri percorsi di approfondimento scientifico, quasi una “pre-scienza”. Come provare allora a comunicare la conoscenza geografica? Come cercare di raccordare il pur diffuso apprezzamento della geografia con la contemporanea perdita di peso disciplinare nella scuola? Come tentare di ricucire la distanza tra la visione popolare e quella accademica? Una riflessione su questi quesiti, alla luce dei dati e degli spunti emersi dalla petizione e dalla discussione da essa generata è l’intento del saggio.
Geografie pop e geografie accademiche
TABUSI M;
2011-01-01
Abstract
L’occasione del lancio della petizione “A scuola senza geografia?” (che ha avuto oltre 30.000 adesioni in meno di un mese) ha permesso – attraverso l’analisi dei dati raccolti e dei contenuti espressi nel dibattito pubblico, generatosi per l’occasione sulla stampa e attraverso altri media- di delineare una prima “mappatura” della percezione e della considerazione della disciplina geografica attraverso l’occhio dei media e la voce degli stessi sostenitori dell’appello. La geografia viene spesso vista come un compendio descrittivo di fatti piuttosto che come disciplina che si occupa dell’analisi, dell’interpretazione e della spiegazione delle differenze, territoriali e sociali, nella società globale. La percezione del sapere geografico sembra in qualche modo scontare, infatti, ancora una serie di convenzioni e stereotipi argomentativi che trovano terreno fertile nei media quando devono parlare di tematiche che riguardano, direttamente o indirettamente, la geografia. La prima, e più potente di queste convenzioni argomentative, guarda alla geografia come disciplina mnemonica, elementare, strumento essenziale per ricordare toponimi, confini, ammontare della popolazione. Una disciplina insomma che appare, nella comunicazione, scarsamente scientifica. Questa idea la si rintraccia, in forme e modalità chiaramente differenti, sia nell’analisi degli articoli presenti nei quotidiani sia nei commenti dei singoli sottoscrittori. Si tratta di un complesso di elementi che, per tradizione, per la richiesta che deriva da chi apprezza e sostiene la geografia e anche per oggettiva utilità, non può essere rimosso dal percorso d’insegnamento, né considerato secondario. Occorre, piuttosto, utilizzare gli strumenti oggi disponibili, in grado di velocizzare l’apprendimento e di coniugare la memorizzazione delle nozioni con la comprensione degli eventi e dei processi. È forse possibile, per questa via, ottimizzare i tempi dell’insegnamento di questi aspetti della geografia per avere la possibilità di sviluppare nella scuola anche elementi di maggiore complessità, contribuendo a diffondere una diversa percezione della disciplina. La separazione tra una visione di geografia popolare e una più rigorosa impostazione disciplinare e accademica trova una ulteriore manifestazione nella diffusione di contenuti geografici all’interno della pubblicistica divulgativa, oltre che nei programmi televisivi. Qui, pur facendo riferimento a tematiche tradizionalmente geografiche (paesaggio, ambiente, territorio ecc.), raramente si riscontra la presenza di letture riguardanti i processi e i concetti, quanto piuttosto una esposizione fattuale e piana che si affianca, nella migliore delle ipotesi, alla considerazione della geografia come prerequisito per la comprensione di fenomeni più ampi, base apparentemente imprescindibile per moltissimi altri percorsi di approfondimento scientifico, quasi una “pre-scienza”. Come provare allora a comunicare la conoscenza geografica? Come cercare di raccordare il pur diffuso apprezzamento della geografia con la contemporanea perdita di peso disciplinare nella scuola? Come tentare di ricucire la distanza tra la visione popolare e quella accademica? Una riflessione su questi quesiti, alla luce dei dati e degli spunti emersi dalla petizione e dalla discussione da essa generata è l’intento del saggio.File | Dimensione | Formato | |
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