Il presente contributo punta a tracciare un sintetico percorso della funzione svolta dall’animale nell’opera degli scultori attivi a Firenze nel XVI secolo. In tale contesto s’indugia particolarmente sul ruolo svolto da Niccolò Tribolo quale straordinario trait-d’union fra la tradizione naturalistica quattrocentesca di Verrocchio e Leonardo, con i quali l’animale è rinnovato per tipologie e potenzialità espressive, e quella pienamente cinquecentesca di Giambologna e Romolo Ferrucci del Tadda, cui si deve la sua codificazione quale genere artistico. Sul suo contributo, analizzato sia nella sede privilegiata del giardino, che in quella più rara dello studiolo, dove peraltro si sarebbe affermata la scultura d’animali, e sull’apporto sostanziale della sua bottega legata ai nomi di Pierino da Vinci, Antonio Lorenzi, Valerio Cioli e, pur in senso più lato, Romolo Ferrucci del Tadda, si appuntano le osservazioni del presente lavoro volto a restituire proprio a Niccolò il decisivo ruolo di precursore dello scultore animalier. Si offre così l’occasione di rileggere, sulle tracce del suo spiccato naturalismo, l’inedito dialogo istituito dall’artista con la tradizione della plastica tardoquattrocentesca, e in particolare di definire per la prima volta, a fronte di una tradizionale congiuntura privilegiata dalla critica con Jacopo Sansovino, i termini di un suo rapporto preferenziale con la poetica di Leonardo e con l’eredità primo cinquecentesca del maestro da Vinci. Per questa via si sono ripercorse le tracce di un coinvolgimento di Tribolo con l’estetica della ‘Scuola della Sapienza’ incardinata sulle figure di Giovanfrancesco Rustici e Andrea del Sarto, e parallelamente si è approfondito lo studio svolto dall’artista sull’erudito naturalismo romano di matrice raffaellesca mediatogli da Lorenzetto e Benvenuto Cellini, e in sintonia col vivace gusto faunistico e botanico di Giovanni da Udine e Giulio Romano. Si è dato inoltre conto delle sue connessioni con la cultura figurativa e letteraria veneta, forse indottegli dall’amicizia con Benedetto Varchi, che valse allo scultore una straordinaria consentaneità con la filosofia naturale di Pietro Aretino, probabilmente già conosciuto a Roma presso la corte del banchiere Agostino Chigi e quella pontificia. Proprio questi parametri calati nel vivo di una decisa fiorentinità, cresciuta all’ombra degli Orti Oricellari, in contiguità con protettori illustri quali Ottaviano de’ Medici, fecero di Niccolò l’alfiere di un moderno naturalismo in cui l’animale appare sempre più debordante rispetto alla griglia decorativa che per tradizione gli pertiene fino ad uscirne definitivamente, promosso ad un ruolo nuovo di comprimarietà rispetto alla figura, come pare suggerire l’iniziale progetto metamorfico della grotta di Castello.

Il teatro di natura. Niccolò Tribolo e la nascita di un genere. La scultura di animali nella Firenze del Cinquecento

GIANNOTTI A
2007-01-01

Abstract

Il presente contributo punta a tracciare un sintetico percorso della funzione svolta dall’animale nell’opera degli scultori attivi a Firenze nel XVI secolo. In tale contesto s’indugia particolarmente sul ruolo svolto da Niccolò Tribolo quale straordinario trait-d’union fra la tradizione naturalistica quattrocentesca di Verrocchio e Leonardo, con i quali l’animale è rinnovato per tipologie e potenzialità espressive, e quella pienamente cinquecentesca di Giambologna e Romolo Ferrucci del Tadda, cui si deve la sua codificazione quale genere artistico. Sul suo contributo, analizzato sia nella sede privilegiata del giardino, che in quella più rara dello studiolo, dove peraltro si sarebbe affermata la scultura d’animali, e sull’apporto sostanziale della sua bottega legata ai nomi di Pierino da Vinci, Antonio Lorenzi, Valerio Cioli e, pur in senso più lato, Romolo Ferrucci del Tadda, si appuntano le osservazioni del presente lavoro volto a restituire proprio a Niccolò il decisivo ruolo di precursore dello scultore animalier. Si offre così l’occasione di rileggere, sulle tracce del suo spiccato naturalismo, l’inedito dialogo istituito dall’artista con la tradizione della plastica tardoquattrocentesca, e in particolare di definire per la prima volta, a fronte di una tradizionale congiuntura privilegiata dalla critica con Jacopo Sansovino, i termini di un suo rapporto preferenziale con la poetica di Leonardo e con l’eredità primo cinquecentesca del maestro da Vinci. Per questa via si sono ripercorse le tracce di un coinvolgimento di Tribolo con l’estetica della ‘Scuola della Sapienza’ incardinata sulle figure di Giovanfrancesco Rustici e Andrea del Sarto, e parallelamente si è approfondito lo studio svolto dall’artista sull’erudito naturalismo romano di matrice raffaellesca mediatogli da Lorenzetto e Benvenuto Cellini, e in sintonia col vivace gusto faunistico e botanico di Giovanni da Udine e Giulio Romano. Si è dato inoltre conto delle sue connessioni con la cultura figurativa e letteraria veneta, forse indottegli dall’amicizia con Benedetto Varchi, che valse allo scultore una straordinaria consentaneità con la filosofia naturale di Pietro Aretino, probabilmente già conosciuto a Roma presso la corte del banchiere Agostino Chigi e quella pontificia. Proprio questi parametri calati nel vivo di una decisa fiorentinità, cresciuta all’ombra degli Orti Oricellari, in contiguità con protettori illustri quali Ottaviano de’ Medici, fecero di Niccolò l’alfiere di un moderno naturalismo in cui l’animale appare sempre più debordante rispetto alla griglia decorativa che per tradizione gli pertiene fino ad uscirne definitivamente, promosso ad un ruolo nuovo di comprimarietà rispetto alla figura, come pare suggerire l’iniziale progetto metamorfico della grotta di Castello.
2007
978-88-222-5703-1
Rinascimento
Scultura
Toscana
Giardini
Tribolo, Niccolò
Animali
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14091/4666
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