Il saggio punta a dimostrare la centralità del ruolo svolto dall’urbinate Federico Barocci nell’ambito dell’arte controriformata a fronte dell’isolamento esistenziale scelto dall’artista nella sua città d’origine, dopo un folgorante avvio romano. Ripercorrendo le principali fonti storiografiche, da Giovan Paolo Lomazzo (1584) a Giovanni Baglione (1642), fino a Giovan Pietro Bellori (1672) e Luigi Lanzi (1795-1796), si punta a cogliere i tratti salienti della sua riforma artistica destinata ad incontrare largo seguito in Italia e in Europa per almeno due secoli. In questo percorso è la voce di Bellori che emerge nell’incoronare Barocci pittore moderno volto al naturale e speciale riformatore, al pari dei Carracci, dell’arte contemporanea. Attraverso la disanima dell’ecfrasi belloriana si punta a individuare le chiavi di lettura del Barocci più propositivo e anticipatore dell’arte barocca, che costituiscono peraltro le principali sezioni della mostra nel contesto della quale è pubblicato il presente saggio: oltre alla conferma del primato dell’urbinate come pittore sacro, già sancito da Baglione, si delinea così il sapiente pittore degli affetti, restituiti con decoro, dal comporre illusionistico emozionale, dinamico e cromatico, che rinuncia a sicure regole logiche in favore di un’avvolgente tessitura sentimentale nella quale risalta la soavità del colore dove l’artista come un oratore, organizza il proprio discorso non per concatenazioni logiche ma per associazioni approdando talvolta all’universo diafano e smaterializzato della tradizione barocca. Particolare risalto è poi quello fornito al Barocci luminista di matrice lombarda, dalla soave maniera sfumata di marca leonardesca, su cui s’innestano felici controluce e mirabili notturni rischiarati da luci artificiali o diafane tramonti, ben focalizzati dal Lomazzo, e utili alternative per Bellori agli accenti luministici caravaggeschi. A sancire infine la particolare aderenza estetica tra Bellori e Barocci il saggio punta a sottolineare la nozione di bello selettivo, fondato sull’esercizio del naturale emendato sull’antico e sui maestri: Raffaello, Correggio e Tiziano, operato con costanza dal pittore urbinate. Così Barocci si erge a sapiente orchestratore dell’armonia musicale alla quale la pittura moderna, nell’accezione belloriana, deve auspicabilmente tendere, un requisito questo, che connota le sue opere quali modelli di straordinaria modernità anche per la più aggiornata generazione dei collezionisti secenteschi quali Maffeo Barberini e Scipione Borghese.
Con gli occhi di Bellori
GIANNOTTI A
2009-01-01
Abstract
Il saggio punta a dimostrare la centralità del ruolo svolto dall’urbinate Federico Barocci nell’ambito dell’arte controriformata a fronte dell’isolamento esistenziale scelto dall’artista nella sua città d’origine, dopo un folgorante avvio romano. Ripercorrendo le principali fonti storiografiche, da Giovan Paolo Lomazzo (1584) a Giovanni Baglione (1642), fino a Giovan Pietro Bellori (1672) e Luigi Lanzi (1795-1796), si punta a cogliere i tratti salienti della sua riforma artistica destinata ad incontrare largo seguito in Italia e in Europa per almeno due secoli. In questo percorso è la voce di Bellori che emerge nell’incoronare Barocci pittore moderno volto al naturale e speciale riformatore, al pari dei Carracci, dell’arte contemporanea. Attraverso la disanima dell’ecfrasi belloriana si punta a individuare le chiavi di lettura del Barocci più propositivo e anticipatore dell’arte barocca, che costituiscono peraltro le principali sezioni della mostra nel contesto della quale è pubblicato il presente saggio: oltre alla conferma del primato dell’urbinate come pittore sacro, già sancito da Baglione, si delinea così il sapiente pittore degli affetti, restituiti con decoro, dal comporre illusionistico emozionale, dinamico e cromatico, che rinuncia a sicure regole logiche in favore di un’avvolgente tessitura sentimentale nella quale risalta la soavità del colore dove l’artista come un oratore, organizza il proprio discorso non per concatenazioni logiche ma per associazioni approdando talvolta all’universo diafano e smaterializzato della tradizione barocca. Particolare risalto è poi quello fornito al Barocci luminista di matrice lombarda, dalla soave maniera sfumata di marca leonardesca, su cui s’innestano felici controluce e mirabili notturni rischiarati da luci artificiali o diafane tramonti, ben focalizzati dal Lomazzo, e utili alternative per Bellori agli accenti luministici caravaggeschi. A sancire infine la particolare aderenza estetica tra Bellori e Barocci il saggio punta a sottolineare la nozione di bello selettivo, fondato sull’esercizio del naturale emendato sull’antico e sui maestri: Raffaello, Correggio e Tiziano, operato con costanza dal pittore urbinate. Così Barocci si erge a sapiente orchestratore dell’armonia musicale alla quale la pittura moderna, nell’accezione belloriana, deve auspicabilmente tendere, un requisito questo, che connota le sue opere quali modelli di straordinaria modernità anche per la più aggiornata generazione dei collezionisti secenteschi quali Maffeo Barberini e Scipione Borghese.File | Dimensione | Formato | |
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