In netto anticipo sul sacco di Roma la terra d’Arezzo denuncia un precoce aggiornamento figurativo sulla maniera moderna romana di marca raffaellesca. Così sin dalla metà del secondo decennio del Cinquecento a partire da Cortona, grazie al Marcillat, e poi dalla metà degli anni venti, a Papacello, le nuove ricerche formali promosse da Raffaello e Michelangelo, e la loro originale interpretazione di un’arte monumentale esemplata sull’antico, approdano nel ducato di Toscana determinando una battuta d’arresto all’ormai obsoleta tradizione pierfrancescana. Promotore di questa accelerazione culturale è il cardinale Silvio Passerini, fidato uomo mediceo, nelle cui scelte si specchia la politica pontificia condotta sul binario tosco-romano. A questi s’affianca l’azione del cardinale Antonio Del Monte in parte responsabile dell’approdo ad Arezzo del genio dell’ars vetraria Guillaume de Marcillat che si dimostrerà nella cattedrale cittadina anche originale frescante. Non meno precoci e filoromane paiono del resto le scelte prodotte in val Tiberina dal vescovo biturgense Leonardo Tornabuoni, estimatore di Raffaellino dal Colle, il fidatissimo pittore locale creato di Giulio Romano. Questi, al rientro da Roma, avrebbe impiantato proprio a Sansepolcro una fiorente bottega sui cui repertori grafici e compositivi si sarebbe persino perfezionato il giovane Vasari. Ma l’aretino dei tanti campanili, pur nell’adesione ad una imperante politica filomedicea di accostamento a Roma e ai suoi nuovi testi figurativi e culturali, non rinuncia alle proprie radicate origine toscane che eleggono Firenze a faro di riferimento. Sarà allora, con un lievissimo sfasamento cronologico rispetto alle chiamate di artisti dalla città pontificia, che il Passerini e il Tornabuoni si faranno promotori di importanti commissioni artistiche ‘moderniste’ di marca fiorentina: l’Assunta e il proprio parato liturgico ordinati dal primo ad Andrea del Sarto, e la celebre Deposizione di Cristo dalla Croce commissionata dal secondo al Rosso Fiorentino. Ne sarebbe derivata un’originale ibridazione culturale tosco-romana, forse più spinta in senso romano di quanto non sarebbe in fondo mai stato per la più conservatrice e autoreferenziale arte prodotta a Firenze, costante e irrinunciabile polo di riferimento per le terre aretine nei secoli. Proprio questo doppio registro, fiorentino e romano, avrebbe tracciato anche gli esiti più maturi del Cinquecento locale nei contributi del Vasari, del Doceno, di Leonardo Cungi fino ad approdare alla schiatta di Berto Alberti e della sua prolifica famiglia di pittori e incisori.

Arezzo e Roma

GIANNOTTI A
2004-01-01

Abstract

In netto anticipo sul sacco di Roma la terra d’Arezzo denuncia un precoce aggiornamento figurativo sulla maniera moderna romana di marca raffaellesca. Così sin dalla metà del secondo decennio del Cinquecento a partire da Cortona, grazie al Marcillat, e poi dalla metà degli anni venti, a Papacello, le nuove ricerche formali promosse da Raffaello e Michelangelo, e la loro originale interpretazione di un’arte monumentale esemplata sull’antico, approdano nel ducato di Toscana determinando una battuta d’arresto all’ormai obsoleta tradizione pierfrancescana. Promotore di questa accelerazione culturale è il cardinale Silvio Passerini, fidato uomo mediceo, nelle cui scelte si specchia la politica pontificia condotta sul binario tosco-romano. A questi s’affianca l’azione del cardinale Antonio Del Monte in parte responsabile dell’approdo ad Arezzo del genio dell’ars vetraria Guillaume de Marcillat che si dimostrerà nella cattedrale cittadina anche originale frescante. Non meno precoci e filoromane paiono del resto le scelte prodotte in val Tiberina dal vescovo biturgense Leonardo Tornabuoni, estimatore di Raffaellino dal Colle, il fidatissimo pittore locale creato di Giulio Romano. Questi, al rientro da Roma, avrebbe impiantato proprio a Sansepolcro una fiorente bottega sui cui repertori grafici e compositivi si sarebbe persino perfezionato il giovane Vasari. Ma l’aretino dei tanti campanili, pur nell’adesione ad una imperante politica filomedicea di accostamento a Roma e ai suoi nuovi testi figurativi e culturali, non rinuncia alle proprie radicate origine toscane che eleggono Firenze a faro di riferimento. Sarà allora, con un lievissimo sfasamento cronologico rispetto alle chiamate di artisti dalla città pontificia, che il Passerini e il Tornabuoni si faranno promotori di importanti commissioni artistiche ‘moderniste’ di marca fiorentina: l’Assunta e il proprio parato liturgico ordinati dal primo ad Andrea del Sarto, e la celebre Deposizione di Cristo dalla Croce commissionata dal secondo al Rosso Fiorentino. Ne sarebbe derivata un’originale ibridazione culturale tosco-romana, forse più spinta in senso romano di quanto non sarebbe in fondo mai stato per la più conservatrice e autoreferenziale arte prodotta a Firenze, costante e irrinunciabile polo di riferimento per le terre aretine nei secoli. Proprio questo doppio registro, fiorentino e romano, avrebbe tracciato anche gli esiti più maturi del Cinquecento locale nei contributi del Vasari, del Doceno, di Leonardo Cungi fino ad approdare alla schiatta di Berto Alberti e della sua prolifica famiglia di pittori e incisori.
2004
88-7970-201-7
Pittura
XVI secolo
Toscana
Roma
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