Said (1978) afferma che l’Oriente è un orizzonte mentale su cui l’Occidente proietta proprie paure e aspirazioni, un ‘discorso’ alla cui creazione contribuiscono i saperi accademici, le istituzioni e le espressioni dell’immaginario. Così, il rapporto Occidente/Oriente si è a lungo plasmato sull’antitesi manichea tra centro e periferia. Tuttavia, gli studi postcoloniali hanno contribuito a superare in parte l’impianto eurocentrico ed essenzializzante di Orientalismo, ponendo l’accento sulle dinamiche di intercultura e transfert culturale e ripensando la dialettica tra culture occidentali e non (Mellino 2009; Espagne 2013; Lüsebrink-Moussa 2019). In conseguenza di ciò, nell’era della globalizzazione, l’Oriente come sistema di immagini avrebbe perduto il suo valore simbolico, per trovare ormai spazio prevalentemente nella ‘cultura popolare’ (Amalfitano-Innocenti 2007). Il presente contributo si propone di illustrare la parabola della ridefinizione del rapporto tra Oriente e Occidente – che implica altresì un ripensamento delle interazioni tra locale e globale, tra letteratura e media visivi – attraverso l’analisi di tre celebri adattamenti del Milione. Il primo è La fabuleuse aventure de Marco Polo (1965), diretto da Denys de La Patellière e Noël Howard, su sceneggiatura di Jacques Rémy, autore del romanzo omonimo. Il film si muove in un Oriente esotico, ricostruito unicamente attraverso pennellate di colore locale. Il secondo è la serie televisiva Marco Polo (1982) di Giuliano Montaldo, progetto a cui collaborano lo sceneggiatore David Butler e la scrittrice Maria Bellonci, entrambi autori di un loro Marco Polo romanzesco. Esso segna la prima collaborazione tra una televisione occidentale e la Cina. Infine, con la serie Netflix Marco Polo (2014-16), la letteratura si eclissa completamente. John Fusco alterna ai topoi orientali, garanzia di successo presso il grande pubblico, un attento lavoro di ricostruzione del contesto storico, nel momento in cui la Mongolia post-sovietica si affaccia sullo scacchiere geopolitico globale, come potenziale pedina dell’America, che aspira al ruolo di ago della bilancia eurasiatica.
Post-orientalismo e globalizzazione. Studio sugli adattamenti del Milione tra cinema e letteratura
De Bonis Benedetta
2025-01-01
Abstract
Said (1978) afferma che l’Oriente è un orizzonte mentale su cui l’Occidente proietta proprie paure e aspirazioni, un ‘discorso’ alla cui creazione contribuiscono i saperi accademici, le istituzioni e le espressioni dell’immaginario. Così, il rapporto Occidente/Oriente si è a lungo plasmato sull’antitesi manichea tra centro e periferia. Tuttavia, gli studi postcoloniali hanno contribuito a superare in parte l’impianto eurocentrico ed essenzializzante di Orientalismo, ponendo l’accento sulle dinamiche di intercultura e transfert culturale e ripensando la dialettica tra culture occidentali e non (Mellino 2009; Espagne 2013; Lüsebrink-Moussa 2019). In conseguenza di ciò, nell’era della globalizzazione, l’Oriente come sistema di immagini avrebbe perduto il suo valore simbolico, per trovare ormai spazio prevalentemente nella ‘cultura popolare’ (Amalfitano-Innocenti 2007). Il presente contributo si propone di illustrare la parabola della ridefinizione del rapporto tra Oriente e Occidente – che implica altresì un ripensamento delle interazioni tra locale e globale, tra letteratura e media visivi – attraverso l’analisi di tre celebri adattamenti del Milione. Il primo è La fabuleuse aventure de Marco Polo (1965), diretto da Denys de La Patellière e Noël Howard, su sceneggiatura di Jacques Rémy, autore del romanzo omonimo. Il film si muove in un Oriente esotico, ricostruito unicamente attraverso pennellate di colore locale. Il secondo è la serie televisiva Marco Polo (1982) di Giuliano Montaldo, progetto a cui collaborano lo sceneggiatore David Butler e la scrittrice Maria Bellonci, entrambi autori di un loro Marco Polo romanzesco. Esso segna la prima collaborazione tra una televisione occidentale e la Cina. Infine, con la serie Netflix Marco Polo (2014-16), la letteratura si eclissa completamente. John Fusco alterna ai topoi orientali, garanzia di successo presso il grande pubblico, un attento lavoro di ricostruzione del contesto storico, nel momento in cui la Mongolia post-sovietica si affaccia sullo scacchiere geopolitico globale, come potenziale pedina dell’America, che aspira al ruolo di ago della bilancia eurasiatica.| File | Dimensione | Formato | |
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